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Franco Polizzi » Paolo Nifosì
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Il termometro, il segnale di una bella mostra di un artista che già conosciamo è dato dalla capacità di sorprenderci, di farci provare emozioni non previste. Riflessione questa che vale per le opere di tutti gli artisti e che nello specifico vale per questa mostra di Franco Polizzi che il Movimento Vitaliano Brancati ha voluto. Sono rimasto sorpreso innanzitutto da tre tele di medie dimensioni in cui Polizzi propone un racconto, nella misura in cui un pittore può raccontare in immagini che per loro natura sono ferme e bloccate. Nell’osservarle ho pensato ad una nuova possibile mitologia della contemporaneità che dà nuovo alimento alla pittura, dopo che la secolare mitologia classica si è esaurita durante l’Ottocento all’insegna della pittura della vita contemporanea in diretta prima e dello sperimentalismo formale dopo. La ricchezza straordinaria dei percorsi del Novecento ha ribaltato il rapporto tra la resa della realtà e la memoria da un lato e tra la costruzione e la gestualità dall’altro. La pittura storica aveva vissuto prevalentemente di immaginario, di una memoria mitologica o religiosa che faceva corpo di volta in volta con la vita. Il Novecento ha rovesciato questo rapporto in pittura, affidando alla cinematografia lo spazio della memoria e dell’immaginazione narrativa; e ciò è anche comprensibile, essendo il cinema naturale luogo di racconto visivo.

Ma, attraversati i possibili territori sperimentali, in che misura la pittura può riappropriarsi di una sia pur specifica peculiarita narrativa? Penso che le tre tele di Polizzi cui facevo cenno vadano in questa direzione, attingendo non al mito classico, non alla tradizione cattolica, ma ad un racconto cinematografico. Lo stimolo nasce da un film di Milcho Manchewski, Prima della pioggia, da alcuni fotogrammi di grande bellezza formale e di grande intensità. La prima tela vede una ragazza uccisa in una faida familiare, distesa a terra, una sorta di Santa Cecilia del Maderno, il cui corpo, steso in orizzontale, asseconda la curva della collina, dolce nella linea del corpo, di luce in primo piano, contrastato da un cielo blu, alterato nei suoi colori notturni, con una flebile speranza affidata ad un piccolo mandorlo fiorito. La seconda tela vede, in primo piano, sulla destra, quattro monaci che ritornano verso il loro convento, in una notte di plenilunio. Hanno movenze rituali, con copricapo montenegrino e con uno di loro che rimanda iconograficamente ad uno dei carnefici della Flagellazione di Piero della Francesca. Nel paesaggio immaginario, in una notte rischiarata dalla luna e dalle stelle, al centro, si individua la chiesa di S. Matteo di Scicli, monumento inquieto e madre rasserenante, stella cometa della città. La terza tela ha per titolo Notte dei Balcani, uno spazio montuoso fatto di blu e di nero alterato dai bagliori rossastri.

Il dolore, il mistero, la malinconia sono preminenti nelle tre tele cui fa eco un piccolo Crocifisso il cui corpo deformato, di un colore opaco, emerge dal buio.

Fanno da coro a queste opere protagoniste tutte le altre che vogliono essere la forma della vita domestica di Polizzi, fatta di quanto frequenta dentro e fuori della sua casa di S. Marco, frammenti di spazio, di natura, di fiori che l’occhio percepisce in un momento e su cui l’immaginazione costruisce, in un continuo conflitto tra l’esigenza dello strutturare e l’impulso ad intervenire con immediatezza: luoghi della realtà, che spesso Polizzi vede come scenari plausibili del suo immaginario.

La sua pittura ha avuto sempre la febbre alta, è stata sempre febbricitante. La natura da lui dipinta non è mai stata luogo indifferente; è luogo vissuto sempre sopra le righe, luogo fondamentalmente di emozioni, luogo misterioso dell’ebbrezza e della paura. Nella mostra vi sono due opere che rappresentano l’alba, momento che la quasi totalità sconosciamo e che, proprio in quanto momento non frequentato, ci sorprende per l’intensità e il contrasto tra la luce e l’ombra. Polizzi non se l’è inventato nel chiuso del suo studio. L’ha vista, l’ha rivista, condensando lo stupore di una bellissima fase del suo giorno. Troviamo nelle altre opere tutte le luci del giorno e della notte, ritagli di cielo visti dall’interno della sua casa, buganvillee fiorite, mandorli in fiore. La sua pittura è corposa, robusta, plastica, lavorata sulla tela con trame solide, ma nello stesso tempo risolta con interventi gestuali, immediati, impulsivi. Le sue opere restano al centro del confronto, nel momento di maggior tensione del tiro alla fune tra la strutturalità e l’immediatezza, più aderente quest’ultima alla sua natura d’artista, tenuta a bada con la dura disciplina del dipingere a fronte della realtà, della verità della luce, delle emozioni dello sguardo che prima di diventare pittura sono esperienza di vita quotidiana.

(Notte di plenilunio, presentazione al catalogo Polizzi, opere recenti, Movimento Vitaliano Brancati, Scicli, 2002)