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Franco Polizzi » Lucio Barbera
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Ogni giorno Pierre Bonard era solito fare una passeggiata; ed ogni giorno era solito annotare meticolosamente su una agenda le condizioni del tempo, il colore del cielo, l’intensità e le diverse sfumature della luce. Gli capitava, così, di scrivere: “Con tempo bello, ma fresco, c’è del vermiglio nelle ombre aranciate”.

Ora, io non so se Franco Polizzi (Scicli 1954), artista di punta della generazione di mezzo dello straordinario Gruppo di Scicli, abbia l’abitudine di annotare sulla carta ciò che nota con lo sguardo, ma so per certo che, con il suo piccolo e prezioso pastello a olio “Tramonto e buganville”, ha in pratica scritto, anzi, ed è dir meglio, dipinto qualcosa che a parole potrebbe così dirsi: “Quando l’aria è chiara e il sole smorza le luci, c’è del rosa magenta anche nel mare e nelle infuocate nubi”. Acuto osservatore di una natura che, come una magia di luci e di colori, ma anche di ombre e annottamenti, gli si squaderna davanti, l’artista siciliano, nella mente ricompone ciò che vede e lo esalta in uno strepitoso “tutto” in cui anche gli aspetti più banali diventano fondamenti di vita.

Con questo atteggiamento curioso, esuberante, ma anche venato da una sottile vena di tristezza, Franco Polizzi, alla maniera di Robert Walser, compie la sua “passeggiata”, metafora di una pittura rapace, assolutamente peculiare, ma anche nomade, sempre aperta e disponibile agli incontri più casuali e sorprendenti, quasi come di un vagabondo che abbraccia amorosamente, e senza risparmiarsi, ogni particolare di ciò che lo circonda, ma lo osserva da una sua invalicabile distanza, quella del solitario, estraneo a ogni rapporto funzionale col mondo, eppure cosciente di un suo irrimediabile segreto: il “trascorrere del tempo” niente altro è che “tempo trascorso”.

Così in ogni suo dipinto si avverte il senso della bellezza appieno goduta, ma anche della perdita e del finire, la consapevolezza dell’irrimediabile fralezza dell’essere e, con essa, dell’essere a ciò destinati. Con una pittura golosa, impetuosa e passionale, l’artista divora ciò che vede, ne gode fino allo spasmo, ma sa che non dura, che il giorno svanisce, l’amore e pure la vita.

Tutto ciò che si vive è solo “di passaggio”, e va colto a piene mani, perchè nel presente si annida il presentimento. Esemplare, sotto questo aspetto, mi sembra “In viaggio”, in cui non credo che l’artista voglia impegnarsi in tardive esercitazioni futuristiche, quanto, al contrario, fissare, nella immobilità della pittura, proprio l’attimo del trascorrere. Ecco ciò che si è visto, ecco ciò che non si vede più, perchè già inghiottito dal passato.

È con questa freschezza gioiosa del presente, in continua lotta con la morte, con questa delirante follia di una felicità troppo ricca e troppo piena, come di cielo mediterraneo splendente, eppur minacciato da un’ombra, che Polizzi compie ormai da anni le sue “passeggiate” che partono dalle consuete stanze (“Interno con luce gialla e drappo rosso”, questo sì dipinto davvero bonnardiano per una tensione cromatica fatta di densi turgori, lentamente combusti), e lo conducono nelle sue amate campagne con vista mare.
I suoi paesaggi, sono un meraviglioso impasto di toni, sfumature, suoni ed echi, di sensazioni tattili e profumi; il colore è solido, incandescente fino al punto da macerarsi (si veda, in “Notturno con fiammelle” del 2008, la massa indistinta che conduce al mare); la luce e le forme nascono dal gioco delle masse cromatiche (“Paesaggio con tenda rossa e macchina”), dai contrasti più sor

prendenti che rifiutano l’ausilio del chiaroscuro.

Sceglie, Polizzi, e al tempo stesso ci regala, il piacere della “visibilità pura”, cioè di quella visione immediata che ci avvolge quando vediamo un luogo per la prima volta, prima cioè che la mente cataloghi. E non siamo tanto noi a vedere, quanto la pittura ad assediarci, fino al rapimento, nella sua emotiva sensazione che può essere di stupefacente nitore (“Luci a Taormina”, pastello del 2010), di armonia che scoppia all’orizzonte (“Piccola curva a mare”), o di un brulichio notturno e inafferrabile (“Sera sull’Altopiano”).
Con sapienza e sorvegliata coscienza critica, spingendo la vibrazione della materia all’estremo limite, l’artista estrae bellezza da qualsiasi cosa: anche da una semplice auto che su una strada terrosa si infila in un una magica orchestrazione di gialli. Bello è il presente. Se non ci fosse il presentimento.
(Presente presentimento, testo in catalogo,  Galleria Il Sagittario, Messina, 2010)