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Franco Polizzi » Lorenza Trucchi
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Nel 1975, appena ventenne, Franco Polizzi fu uno dei 405 artisti scelti tra 1747 partecipanti per la IV mostra della Decima Quadriennale, dedicata a La nuova generazione. Polizzi presentava tre dipinti molto simili: Folla, Stadio, Manifestazione. Invece d’illustrare o raccontare questi temi, ancora legati alle ultime battaglie studentesche, egli badava ad evocarli attraverso un linguaggio libero di lontana derivazione informale, basato su un segno febbrile, gestuale e su un colore a macchie, a quadri. Polizzi viveva allora a Venezia dove frequentava l’Accademia delle Belle Arti. Da qualche anno è tornato nella sua Sicilia, a Scicli.

Le opere che espone in questa prima personale romana sono il risultato di un nuovo, più profondo legame con la propria terra e di una quotidianità fatta di umanissimi rapporti con la realtà circostante, più che trasferire nella natura sentimenti e stati d’animo, Polizzi lascia che quasi appropriandosi di lui, sia la natura a determinarli. Un interscambio tra dare e ricevere, meglio un armonioso colloquio che si effettua dentro il tempo e le stagioni scandite dallo svariare della luce e dei colori. Polizzi appartiene dunque a quell’esiguo, ma fervido gruppo di pittori che “ritentano la natura”, i cui riferimenti vanno reperiti in una koiné non prossima né italiana. Questi artisti (in parte storicizzati, pur senza presunzione di tendenza o ambizione di scuola, da Guido Giuffrè in una mostra che ha avuto luogo ad Arezzo lo scorso autunno che il titolo Continuità della pittura), si rifanno sia a Manet, Monet, Cezanne, sia a Seurat, Vuillard, Bonnard e Redon, trovando in ciascuno di questi grandi pittori l’incentivo ed i mezzi per essere più vicini e fedeli alla loro verità.

Quello che mi pare caratterizzi la pittura di Polizzi (che ha eletto a suo ideale maestro accanto a Bonnard e Vuillard, il conterraneo Guccione) è il sereno controllo della propria carica emozionale. Egli non mostra ansia, turbamento, impazienza nell’abbreviare o condensare il tempo tra impressione ed espressione e cerca, di conseguenza, che la dimensione del reale non si alteri in quella psichica. Da qui la tonica semplicità (opposta, è ovvio, alla facilità) della sua pittura, in franco rapporto con la natura e con l’umile poesia di poche immagini familiari. Temi e motivi intensi e pacati rendono a chiazze e macchie l’effetto della luce, talora erosa e contrastata da ampie zone d’ombra (bellissimo fra tutti ilNotturno 1983), quanto a brevi tocchi che stemperano in un’atmosfera screziata di teneri rosa, leggeri violetti, gialli spenti, l’arsura delle lunghe estati siciliane.

Ed è proprio questa sua «Vue directe sur la nature», come la chiamava Bonnard che già lo diversifica e sempre più lo diversificherà da Guccione, nella cui opera all’opposto, proprio lo struggente bisogno di dar conto dipingendo delle ragioni paritetiche dell’occhio e del cuore, della realtà e della memoria, costituisce uno degli elementi piu affascinanti ed inaffidabili. Ma la pittura pur così diretta di Polizzi, dove luce e colore dominano, comandano, ha talvolta un suo più ambizioso risvolto speculativo che concerne lo spazio. Ecco allora una rilettura non sempre ancora del tutto risolutiva di Degas, Bonnard e Vuillard per quanto attiene le loro prospettive pluridimensionali, gli scorci arditi, le angolazioni oblique, lo sbarramento o la calamitazione del percorso percettivo attraverso oggetti in primo piano.

(presentazione in catalogo della mostra personale, Galleria Il Gabbiano, Roma 1984)