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Franco Polizzi » Celide Masini
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Dinanzi a tutto il conoscibile esiste il più circoscritto e parziale conoscere. Se questo spesso è fatto di realtà conclamate ed indubitabili, di definizioni dogmatiche, di connessioni abituali e consolidate, cosa può essere più affascinante della trasgressione, del sovvertimento, dell’audacia grammaticale, di una sintassi impropria che possano diventare nuova coerenza?

L’equivoco sottile che insinua il dubbio nell’univocità degli assunti, che mette in forse l’efficacia delle più accreditate verità sembra essere il fascino di Polizzi che con l’arditezza dei suoi tagli spaziali, con l’imporre in primo piano forti ostacoli visivi, con le sue insolite riprese di particolari, propone l’inatteso, l’insospettabile, almeno sul piano della rappresentazione. Nel continuum della realtà si sofferma sul particolare rimarcandone la relatività, sottolineandone la rete di relazioni, la contingenza: così dipinge Uomo tra gli alberi (furtivo) del quale non si vede che il corpo, o Buganvillea e nuvola dove il taglio obliquo della strada occupa un terzo dello spazio conteso tra la macchia intensa della siepe fiorita e l’imponente volume bianco della nuvola, o ancora Il vecchio arancio nell’angolo nel quale due alti muri costringono lo spazio e lasciano libero solo uno spicchio di cielo.

Polizzi è in qualche modo un anticonformista in cerca delle analitiche ed alternative relazioni che intercorrono tra le cose, che non accetta l’immobilità delle ipotesi dettate dall’incapacità di darne ragione, anzi si fa carico del rischio che le sue nuove premesse offrono alla dialettica della ragione.

Nell’eterna riflessione su se stessi e sul mondo che è la conoscenza, non gli sfugge il valore genetico di nuove impronte critiche, di nuove sorprendenti armonie, o volute disarmonie, che scardinano gli automatismi dell’abitudine, così insidiosi da coinvolgere il pensiero nella radicata piattezza delle più consuete conclusioni.

È vera per l’artista, non la conformità alle regole ma l’efficacia del processo conoscitivo, è vero ciò che corrisponde agli impulsi dell’anima, ciò che la coscienza riconosce per proprio, anche sfuggendo alla norma.

Polizzi non mette in dubbio l’oggettività della realtà fenomenica, ma la sua lettura, la sua interpretazione, come sostiene l’aforisma kantiano: «Se sopprimessimo il nostro soggetto o anche solo la natura soggettiva dei sensi in generale, tutta la natura, tutte le relazioni fra gli oggetti nello spazio e nel tempo, anzi lo spazio e il tempo sparirebbero». Se il tempo dell’artista è quello della silente capacità di sentire e del divenire delle sensazioni, il suo spazio, così legato all’angolo di visione e venato di empirismo, è il luogo di coesistenza di tutte le possibilità. E la tentazione delle più nette, di quelle che hanno origine nel più sorprendente soliloquio, maturano presto nella sua facile vena.

Questa è una delle componenti di Polizzi che la coniuga felicemente con un senso intimo e pacato; certe sue ardite ed istantanee semplificazioni che già furono dell’hic et nunc impressionista, non lo contrastano. Anzi la sua mimesi è affettuosa e carica di umanità. Ha il fascino di una stagione poetica coinvolgente e serena la cui fragranza solare è sostanziata, confortata dalle radici culturali di quella calda terra di Sicilia dalla quale l’artista proviene e che non cessa di sorprenderlo rivelandogli il suo tempo immoto, il suo crogiolarsi nel sole, i suoi angoli segreti, il suo essere abbacinante e sensuale, antica e vitale terra madre da amare. Per questa via trova largo spazio il paesaggio, si veda ad esempio Paesaggio controluce o Buganvillea al mare, o lo scorcio di quegli angoli di casa che spalancano sul quotidiano la ricchezza fresca di un lirico intimismo, e persino la natura morta con il suo quieto fascino romantico.

Tutti soggetti che l’artista descrive attraverso una intensa carica luminosa e coloristica, un segno vigoroso ed insistito che dà corpo alla materia e ad un’atmosfera nella quale si possono leggere echi impressionisti, in primo luogo di Pierre Bonnard, e della lirica dolcezza, della complessità psicologica e contemplativa del conterraneo Guccione.

In Polizzi avviene una sintesi personale che, se pur mostra nella pluralità dei soggetti, nella molteplicità delle sollecitazioni, quel leggero disagio dello spirito che è l’inquietudine motivata dalla ricerca, si propone in un linguaggio piano, scorrevole, accattivante. Immerso nello spettacolo della natura, l’artista ne vive la suggestione, l’immediatezza emotiva e riesce a renderne l’immanenza con un realismo appassionato, libero e spontaneo in grado di far lievitare il turgore soffice del sentimento.

(in catalogo della mostra personale, Galleria Forni, Bologna 1990)