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Franco Polizzi » Antonello Trombadori
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Uno dei più cocciuti tra gli alfieri del secondo Futurismo, il pittore Enrico Prampolini (apologeta, tra l’altro, delle gesta squadristiche dell’incendio dell’«Avanti!» nel 1919 alla Mostra della Rivoluzione fascista del 1932), aveva coniato lo slogan solo apparentemente rivoluzionario «Bombardiamo le Accademie!».

Dopo più di mezzo secolo e ancora dalle Accademie non come fonti di insopportabile accademismo (il quale non conosce limiti di stile: c’è stato l’accademismo futurista, c’è quello astrattista e quello concettuale ecc.) ma come fonti, quando lo sono, di insegnamento individuale marcato dalla presenza di un vero maestro, che possono essere rivelati, prima di tutto a se stessi, dei veri artisti.

«Bombardiamo l’accademismo!», piuttosto, da qualunque parte esso venga. E questa è impresa ardua poichè è molto più comodo stabilire un rapporto di tipo accademico fra scolari opportunisti e maestri vanagloriosi che un rapporto di reciproco aiuto antiaccademico.

Il siciliano Franco Polizzi poco meno che ventenne si trovò a svolgere attività antiaccademica nell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Con sicuro intuito di pittore egli si volse di più all’eco che tra quelle mura avevano lasciato l’insegnamento luministico-spaziale di Virgilio Guidi e la essenzialità costruttiva di Armando Pizzinato che non alla singolare linea di pennelleggiatura magniloquente che collega non del tutto a caso il vecchio magistero passatista di Ettore Tito al successivo modernismo di Emilio Vedova. Quando dunque egli ritornò nelle sue contrade siciliane, attorno al 1974, e si imbatte in Piero Guccione, un altro maestro che, a differenza di lui, era nel pieno di una splendente maturità ma che aveva anch’egli fatto il suo “ritorno nell’isola”, tutte le armi di pennello conquistate in laguna, essendo nelle sue mani divenute affilatissime e pronte a ricevere nuovo filo e nuova luminosità, gli si affilarono ancor più nel tragitto gentile ma incisivo dall’occhio al mondo e dal mondo alla tela.

Un allievo di Guccione? In buona misura sì, ma ancora una volta, per virtù del maestro e dello scolaro, un alunnato antiaccademico. Fino al punto che presentando nel 1979 una mostra personale di Franco Polizzi a Ragusa Guccione poteva scrivere: «Ciò che conta nel nostro caso è constatare e sottolineare, come segno positivo di speranza, che un giovane talento impegna le sue energie, misura i suoi sforzi e i propri limiti (rischiando la sua identità mentre la cerca nell’intricato groviglio della tradizione) per stabilire “continuità”; per dire ancora o tentare di dire “come socialità in atto” della possibile e controversa bellezza del mondo». La «possibile e controversa bellezza del mondo» si riflette nelle tele di Franco Polizzi come «luce» e «colore»: Essi vi «dominano, comandano» – ha scritto due anni fa Lorenza Trucchi – ma vi è in questa pittura anche «un più ambizioso risvolto speculativo che concerne lo spazio». Meglio non si può dire per leggere a fondo – oltre la tela, si direbbe – l’impatto fra la delicatezza del respiro di Franco Polizzi con il paesaggio ancora libero dall’assalto urbano e la durata antica, robusta, incancellabile, di quella bellezza.

A tentare di renderla ancor più incancellabile (di qui il valore “speculativo” dello spazio non puramente naturalistico di queste visioni) vuole in ogni caso concorrere la pittura di Franco Polizzi. Questo è il progetto antiaccademico d’un giovane artista che dell’insegnamento dei suoi maestri reali ed elettivi ha saputo fare ben più d’un invito a “citare dall’antico” o a mimetizzarsi nella faciloneria delle mode.

(in Franco Polizzi, Un panorama di tendenze, catalogo della mostra a cura di L. Luisi, Roma 1986)